Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di GIOVANNI PEPI

Voterò No al taglio del parlamento. Veenendo il 36,5% dei componenti di Camera e Senato, da 630 a 400 seggi nella prima, da 315 a 200 nella seconda, si hanno effetti opposti a quelli che i promotori prevedono. Si parla di risparmio nei costi della politica. Ma si tratta dell’importo di un caffè l’anno per ciascuno di noi:. Se un caffè non si nega a nessuno, si vuol negarlo negarlo alla democrazia ? Si dice che il parlamento sarà più snello, quindi le decisioni più rapide. Ma non sarà così. Restano eguali le regole conosciute. Le leggi passeranno sempre per le commissioni, viaggeranno da una camera all’altra, i regolamenti non cambiano in nulla. Avremmo meno parlamentari per svolgere gli stessi compiti. Come si può pensare a tempi più brevi ? Ma il punto di fondo è un altro. L’argomento forte dei sostenitori del taglio è il colpo di spugna che riceverebbe la casta, con riduzione di privilegi indebiti, talora o spesso correlati ad abusi e costosi vizi. Con decisioni che si prendono nell’ombra a favore di gruppi grandi e piccoli. Con cordate e alleanze che decidono e operano senza trasparenza. Qui si è alla promessa più ingannevole.

La Casta deve essere colpita eccome. Troppe cose si fanno e disfanno senza controllo. In una democrazia sempre più obliqua . Ma questa siede in parlamento ? Pietro Ichino, intellettuale di peso, che voterà si ma non è prono a conformismi di stagione, liquida il punto con parole chiare. Dice in una intervista a Repubblica del 12 settembre “No. Questa è una grossa sciocchezza. Se proprio di “casta” vogliamo parlare, la più temibile non è quella che siede in Parlamento sotto i riflettori dei media, ma quella dei molti dirigenti inamovibili delle due Camere e dei ministeri, le cui cariche non hanno limiti di durata; o quella di molti dirigenti che con pochissima trasparenza occupano la miriade di grandi e piccole poltrone degli enti pubblici e delle imprese controllate da Governo, Regioni e Comuni”. Ma questa miriade di cui Ichino parla che prolifera, senza limiti di durata , può essere contrastata da un parlamento forte, ben organizzato per i controlli, con compiti adeguati. Avremmo invece, dopo il taglio , un parlamento più debole. Perchè sarebbe solo amputato : senza dotarlo di nuovi circuiti vitali . Nulla si propone per disboscarla questa miriade di cui parla Ichino, per contenerne il peso, per rendere trasparenti nomine e carriere, per ridurre uffici e consiglieri di amministrazione. Anzi tutti partecipano a spartizioni dai criteri opachi. E con un parlamento più debole, questa casta sarà più forte. Andrà avanti come è sempre andata.

Per impedire questa contraddizione è bene dire NO. Ma il voto nulla può togliere al punto sostanziale. Con il taglio il parlamento funzionerebbe peggio,  lo allontanerebbe di più dai territori , toglierebbe spazio alle minoranze. Ma resta in piedi un parlamento che funziona male. Bisogna riaprire quanto prima la pagina , impropriamente chiusa, della riforma della Costituzione. Non mancano buone idee: ridurre il numero dei parlamentari, ma differenziando i ruoli delle camere ( destinando , per esempio , il Senato a rappresentati di comuni e regioni ) ; aumentare gli argomenti da votare a camere riunite, cominciando dalla fiducia al governo; snellire la navetta fra i due rami, razionalizzare i lavori tra aula e commissioni… I sostenitori del Si dicono di sapere bene tutto questo. Ma intanto il taglio dei parlamentari sarebbe un primo passo. Solo che non dicono nulla del secondo e dei suoi tempi. E non c’è nulla che vincoli alcuno a una riforma dopo il voto, neppure a quella elettorale. Sull’altro lato, i sostenitori del No hanno idee tutt’altro che chiare sul dopo. Un progetto di riforma non ce l’hanno. Nè si intravedono intese tra partiti. Eppure una riforma è vitale per rilanciare un sistema stanco, dove dominano gruppi di interesse che operano fuori dalle camere. Rimane insoddisfatta l’esigenza sempre più avvertita di una democrazia decidente. Con un parlamento forte in grado di coniugare rappresentanza delle idee e decisione delle leggi , rifuggendo da lungaggini che producono  ritardi e inconcludenze. Non dimenticando mai la massima di Clement Attle, già primo ministro laburista del Regno Unito negli anni cinquanta: ” Democrazia significa governo fondato sulla discussione, ma funziona soltanto se riesce a far smettere la gente di discutere”

il primo parlamento dell’italia unita esposto a Torino, nel museo del risorgimento. foto di giovanni pepi