Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di GIOVANNI PEPI

Democrazia, informazione , gogne e bugie. Discorso chiuso ? Speriamo di no. Se è così propone la lettura di un vecchio saggio di Franco Lo Piparo, professore emerito di filosofia del linguaggio. Il quale considera che nell’informazione , tra internet e digitale, e non solo, una rivoluzione è in corso. Ma non è vero che si verificano oggi cose che non si verificavano ieri. Per esempio, oggi l’opinione pubblica su un fenomeno non si forma sulla verità dei fatti, ma sulle emozioni dopo la verità. La post verità. Ma è novità questa ? Lo Piparo dice di no. Scrive infatti:  “ La post-verità viene anche chiamata post-fattualità: a essere importanti non sono i fatti ma le credenze. Messa in questi termini, la deduzione dovrebbe essere ovvia: la storia dell’umanità, sempre e ovunque, è stata ed è il luogo della post-verità e della post-fattualità. Quando mai un’opinione è diventata pubblica nel senso di avere avuto il consenso dei più o dei molti dopo accurato accertamento dei fatti? “ Ha ragione : mai. Ma si pone oggi il problema dei ritmi. Con la digitalizzazione cambiano spazio e tempo. Qui è il punto. O almeno un punto importante.

Le tendenze che si sono affermate nella storia  dell’umanità non è possibile rimuoverle senza una diversa umanità. Del resto la Storia si è sempre alimentata di bugie. Ne hanno già dato conto , con buoni libri, intellettuali come Pietro Melograni ( le bugie della storia ) e Luciano Violante ( politica e menzogna ) . Ma dobbiamo chiederci oggi se non sia più importante di ieri guardare a regole nuove tra lettori e media. Credo di si. Almeno per contenere i danni. Cominciando da piccole, poche regole, semplici e chiare. Partendo dal diritto di replica nel dar conto dei fatti. Ciascuno deve essere libero di raccontarli e commentarli. Ma se , per dimostrare una tesi, cita una circostanza, un episodio, deve pur dar conto di episodi e circostanze diversi che altri , testimoni o osservatori, vogliono aggiungere o mettere in luce. C’è poi la questione annosa dell’equivalente rilievo da dare a notizie di segno opposto riguardanti una stessa vicenda. E’ sempre più intollerabile la stortura di dar conto , per esempio in materia giudiziaria, con livelli di evidenza diversi , delle accuse e delle assoluzioni, o della notizia errata e della sua rettifica. Sono questioni tutt’altro che nuove. Chiunque svolga un ruolo nel campo dell’informazione può citare documenti, protocolli deontologici, carte dei doveri, codici e memorie che affermano la necessità di comportamenti nuovi rispetto agli usuali. Ma tutto si ferma davanti a un punto cruciale. Come rendere quesite semplici regole cogenti in modo che tutti le rispettino nell’interesse di tutti.

Si è sempre respinto il ricorso a leggi. Ritenendo cosa migliore i codici di autoregolamentazione. Ma già qualche decennio fa Alberto Ronchey chiedeva: cosa fare se ciascuno pensa a un suo codice di autoregolamentazione e lo interpreta a suo modo ? Nessuna risposta. Del resto assistiamo alla stessa indeterminatezza davanti al problema delle gogne mediatiche Aveva cominciato Giancarlo Coraggio. Non senza coraggio. Il presidente della Corte costituzionale pone con chiarezza la violazione del principio di presunzione di innocenza, quando, per esempio, dopo gli arresti, si svolge una conferenza stampa degli accusatori e nulla si dice delle ragioni di difesa. Lo ha seguito Pasquale Stanzione, presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali . Ha praticamente detto le stesse cose. Del resto nuove regole vengono sollecitate dall’Europa. Un ramo del parlamento si è associato. E pure un leader di Cinque Stelle come Luigi Di Maio, ha chiesto scusa al sindaco di Lodi, mediaticamente massacrato poi assolto, dicendo: ” Basta all’utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale”. Aggiungendo: “Con grande franchezza vorrei aprire una riflessione che credo sia opportuno che anche la forza politica di cui faccio parte affronti quanto prima”. Tutto questo fa ben sperare. Ma dura lo spazio di un telegiornale. Poi nulla di nuovo sotto il sole. Si continua. Come prima. Gli appelli passano. Le gogne mediatiche restano. Si cercano e si chiedono nuove regole. Ma non si trovano. E non è sicuro che si vogliano.

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