Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

DI GIOVANNI PEPI

Gli scatti di Nino Giaramidaro sul terremoto del Belice continuano il giro. Sono esposti a Marineo, per ora. E’ la quarta stazione dopo Palermo , Menfi e Castelvetrano. Girano e piacciono. Degli scatti ho già scritto ( qui  ) Perchè piacciono ? Certo, sono belli. Forti nel raccontare dolori, errori e orrori. Ma perchè si vuol vedere e sapere di cinquant’anni fa, un’altra storia, una Sicilia di altri tempi. A Palermo quegli scatti furono esposti alla Libreria del Mare e a Palazzo Sant’Elia. Qui insieme a quelli sull’ebraismo. Si affermava l’importanza della memoria. Diceva il direttore Antonio Ticali : è importante ricordare per conoscere, conoscere per non ripetere. E’ questo , caro Nino, che induce tanti a queste mostre ? “ Lo spero . Penso alla famosa frase di Churchill: Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere”. E poi ?  “ Basta ripetersi quanto disse Primo Levi: ‘Chi non conosce il passato non ha futuro”. E’ bella anche la frase di Indro Montanelli: “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente’. Io, sommessamente, aggiungo che nemmeno riuscirà a prepararsi al futuro. “

Andavi nel Belice non solo per vedere, ma per scrivere e sentire. Eri cronista, eri comunista. eri in una Sicilia devastata, caduta nell’ inferno. Ma una Sicilia disfatta che aspettava, che non si sbracciava. E’ parso anche a te ? “Non vedevo le cose come comunista, ma come un irregolare molto a sinistra. E, ancora oggi, penso che la differenza fra un siciliano delle professioni, di città, col gusto dell’intrapresa e quello del latifondo, della campagna con la casa col tetto di canne e gesso e la pecora come vicino fosse molto grande. Tanto da costringere le popolazioni abituate a campieri, gabelloti e soprastanti, ad addormentare il libero arbitrio. Oltre a questo secolare modo di essere, la gente del Belice rimase inebetita nel ritrovarsi senza più non la propria casa ma il paese, tutto ciò cui era abituato e che credeva eterno. Oggi, la tecnocrazia, credo, ci spinga ancora verso l’abdicazione al libero arbitrio. “Il passato rivive ogni giorno – dice un proverbio africano – perché non è mai passato”. Speriamo che, conoscendolo, passi più presto.

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