Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di GORGIO TRIZZINO

L’assurgere del coronavirus a protagonista quasi esclusivo della vita del nostro Paese non è solo un fenomeno che riguarda la sfera della salute fisica, ma sta mettendo in luce patologie che si annidano a un livello più profondo, quello dell’anima degli italiani e che dovrebbero preoccuparci non meno dell’allarme sanitario.

Giorgio Trizzino deputato del movimento cinque stelle

Purtroppo in questi giorni si stanno infatti diffondendo due mali che travolgono la vita quotidiana di ciascuno di noi.  Il primo male riguarda il riacutizzarsi di una condizione conosciuta ma che in queste circostanze sta assumendo forme davvero gravi e preoccupanti. Voglio tranquillizzare tutti…. perché non mi riferisco alla Sars Covid 19, ma ad una recrudescenza incontrollata di una forma misteriosa di male che aggredisce ad ogni livello la nostra Società e che ancora una volta riguarda la informazione. Spettacolarizzare, urlare, aggredire, ridicolizzare, mentire…. questi i sintomi.E non risparmia nessuno, giornali, televisioni, social. L’importante è apparire. Ed il contagio non risparmia nessuno, giovani, adulti, politici, persone comuni. Tutti vogliono essere presenti per raccontare la loro. Ma sulla base di quali conoscenze? Questa mattina mentre facevo la mia solita passeggiata a Roma mi sono imbattuto in gruppi di ragazzi che andavano a scuola ed alcuni di loro portavano una mascherina sul viso e la usavano come un qualsiasi altro accessorio di cui ormai ingombrano la loro vita quotidiana. Lo svapo, il cellulare, la cuffia, il piercing, il tatuaggio, il motorino ed altro ancora. La toglievano per fumare, poi la facevano roteare in mano, se la scambiavano. Insomma un accessorio come un altro che magari hanno preteso dai loro genitori per emulare qualcuno della propria classe o che hanno visto in tv. Ma senza andare lontano anche nell’Aula di Montecitorio ho visto fare uso di questa maschera con le stesse modalità distratte e probabilmente con scopi non certo educativi o di protezione personale. Ovviamente non mi riferisco a quei colleghi che per oggettive esigenze personali hanno deciso di utilizzare tale dispositivo ma mi rivolgo a chi lo ha fatto esclusivamente per esigenze di esclusivo scopo mediatico e per rilasciare interviste ad ogni angolo di questo Palazzo. Ma qui è ancora più grave perché è stato proprio un medico e deputata di Fratelli d’Italia a farlo. Un professionista che dovrebbe considerare sacro il proprio lavoro di informazione e di esempio agli altri.

Un supermercato a Milano. Foro di Corrado Milia

Il secondo male riguarda il virus che è stato utilizzato come strumento di polemica politicaUn clima di esasperata conflittualità che ha reso impossibile, perfino in questo momento di emergenza nazionale, una risposta solidale a questa difficile sfida sanitaria. Una parte dell’opposizione sembra concentrare in questi giorni la propria attenzione, più che sull’epidemia, sulle vere o presunte responsabilità del governo, trasformando lo stato di calamità nazionale in uno strumento per delegittimare il premier ed il governo. Per averne un saggio, basta leggere i titoli di prima pagina di alcuni quotidiani, portavoce abituali di questa destra politica, dove, a differenza di quelli delle altre testate, volti a informare sulla gravità della situazione e sulle misure prese per fronteggiarla, si pensa ad attaccare l’esecutivo. Strage di stato titolava pochi giorni addietro il quotidiano ‘Libero’. Camus nel suo libro ‘La Peste’ afferma: ‘’Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime, e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello’’. Ciò che più si deve sottolineare riguardo a questa citazione è il fatto che lo stare dalla parte del flagello piuttosto che da quella della vittima è una scelta personale e consapevole di ogni uomo e di ogni politico. Per non essere un flagello, per non essere colui che provoca o auspica il male, bisogna esplicitamente rifiutarsi di esserlo. Il male e il bene sono due alternative di scelta, sono due caratteristiche prettamente umane che divengono due percorsi in opposizione tra loro che ogni individuo sceglie di percorrere nell’arco della propria vita.Il virus è tra noi e ce ne siamo resi conto.

Abbiamo compreso che non c’è dunque nessuna frontiera da chiudere. Tanto più che il virus che ci aggredisce non ha nazionalità e non ha bisogno di chiedere nessun permesso di soggiorno, perché, quale che sia stata la sua originaria provenienza, sono degli italiani a esserne portatori e non lo hanno preso in Cina, ma al bar sotto casa loro. La netta contrapposizione fra “noi di dentro” e “gli altri di fuori”, che è stata il leit motiv della campagna sull’opinione pubblica italiana in questi ultimi due anni, naufraga miseramente in una situazione in cui la minaccia può venire anche dal nostro vicino di casa.

supermercato0a Milano. Foto di Corrado Milia

Ma parliamo adesso di questo virus. Qui le parole sono importanti. E quando parliamo di letalità e mortalità dobbiamo fare la debita distinzione Tasso di letalità, è il rapporto tra morti per una malattia e il numero totale di soggetti affetti dalla stessa malattia. Tasso di mortalità, è il rapporto tra il numero di morti sul totale della popolazione media presente nello stesso periodo di osservazione (e non sul numero di malati). Quindi parlare di mortalità del 2 o 3% per il Covid-19 è un errore macroscopico e non può che generare disorientamento, confusione, paura: si pensi che la mortalità per tutte le cause nel Nostro Paese è circa 1 su 100 abitanti. La distinzione tra tasso di letalità e tasso di mortalità non è semantica ma sostanziale sia per fare chiarezza sull’impatto nella popolazione sia per decidere azioni di sanità pubblica. Per il Covid-19 siamo di fronte a un fenomeno a discreta letalità e bassissima mortalità. Rispetto alla normale influenza stagionale, Covid-19 è quindi un fenomeno con letalità più elevata ma con mortalità molto più bassa.

Cosa sappiamo? Che è un virus nuovo e molto contagioso. Che proviene dal mondo animale e riconosce il genere umano. Che esistono portatori asintomatici. Che nei bambini ha pochi effetti, che può diventare pandemico. Che nell’80 % dei casi si presenta in forma lieve e nel 20% dei casi in forma grave (ma solo nei soggetti di età superiore ai 60 anni). Che ha una letalità che è passata dal 3% allo 0,9 % in Cina. E’ importante, prima ancora che interessante, notare che in Cina la situazione è molto diversa tra l’area epicentro dell’epidemia (Hubei, 59 milioni di abitanti) che ha registrato il numero maggiore di contagiati e di morti (64.287 e 2.495, tasso cumulativo di letalità=3,9%) e continua a registrare molti casi (149 decessi anche ieri), rispetto al resto della Cina (1,42 miliardi di abitanti), che ha registrato una letalità dello 0,8% e che sembra avere esaurito la spinta. 

Quindi una notizia buona e una più preoccupante. La buona è che anche nell’area di Hubei stanno calando i nuovi casi (confermati o sospetti) mentre meno buono è il fatto che ancora non diminuisce la mortalità, probabilmente a causa di malati da tempo, alcuni dei quali si aggravano e muoiono. Nel resto del mondo nel suo complesso la situazione è molto più attenuata, con una letalità stimata all’1,1%. In Italia, la curva epidemica è nella fase crescente e trattandosi di piccoli numeri sia di contagiati confermati che di decessi collegati, la letalità oscilla tra il 2 % e il 3%. Quello che in molti, anche nella comunità scientifica, si chiedono, è con quale accuratezza sia possibile rilevare tutti i soggetti infettati, e se questa sia comparabile tra nazioni. È infatti evidente la difficoltà di rilevare i casi asintomatici e anche quelli lievi, specie in un periodo di sovrapposizione con la “normale” influenza stagionale (nella 7° settimana del 2020, il Dipartimento delle Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità stima 656.000 casi con influenza, per un totale dall’inizio della sorveglianza stagionale di 5.632.000 casi).

Per avere numeri attendibili occorrerebbe uno screening di massa che nessun servizio sanitario al mondo potrebbe permettersi e che non sarebbe neanche giustificato.

Oltre ai tassi di letalità e mortalità occorre poi non dimenticare il tasso di guarigione, sicuramente molto alto per le Covid-19, ma anche qui la stima dipende da cosa si mette al denominatore e dal tempo di osservazione visto che bisogna dare tempo alle persone di guarire e quindi non si può calcolare troppo precocemente.

In tempi così difficili occorre fare ricorso a tutte le competenze e l’equilibrio di cui la comunità nel suo complesso dispone, anche in tema di comunicazione. Ed il virus ci costringe a vedere la nostra finitezza anche a livello scientifico. Esiste un disaccordo tra gli stessi scienziati.Non ho nulla contro il virologo Burioni, ma al posto suo avrei evitato, almeno per ovvi motivi psicologici, di paragonare la mortalità potenziale del Covid-19 a quella dell’influenza spagnola, che tra il 1918 e il 1920 fece milioni di vittime in tutto il mondo. Ma prendo atto che scienziati altrettanto autorevoli vedono la situazione in modo molto diverso. È il caso di Maria Rita Gismondo, virologa responsabile del laboratorio dell’ospedale Sacco di Milano. Anche un’altra illustre virologa italiana, Ilaria Capua ha sostenuto che quella in atto è «una sindrome simil-influenzale» che potrebbe durare «fino a primavera inoltrata o prima dell’estate». E ha espresso la sua convinzione «che il virus farà il giro del mondo in tempi abbastanza rapidi, perché siamo tanti e il virus troverà tanti corpi, come batterie. Ma non vuol dire che ci saranno forme gravi, anzi molto probabilmente sarà sempre più debole». Le pestilenze del nostro secolo non hanno più la forma scomposta delle tragedie da lazzaretto di tanti secoli fa. Può far bene ricordare che le efficaci misure di contenimento della peste di Milano, ricordata da Manzoni nel suo capolavoro letterario, furono adottate dai signorotti locali solo quando loro stessi si videro minacciati fin dentro il loro palazzo, poiché la peste smise di essere una calamità a solo carico della plebe. Le bonifiche, le disinfezioni, le purificazioni degli ambienti malsani e delle paludi avvenne, cioè, solo quando gli ingiusti governi dell’epoca cominciarono a tremare nelle loro fondamenta e temere per la stessa sopravvivenza fisica di chi li reggeva. Non prima!

Ma adesso non è più quel tempo, per fortuna. Adesso i sistemi democratici forniscono garanzie a quel tempo impensabili. Adesso la corretta informazione ci consente di pensare a misure di profilassi e di cura che, applicate sistematicamente, possono liberarci dal pericolo in modo efficace e, per quanto possibile, rapido. Ma per fare questo, le forze politiche, tutte, sono chiamate ad un’azione comune e armonizzata. Non è il momento per la distinzione dei ruoli di esponenti di maggioranza e opposizione. Non vale adesso il colore politico, non si può dare spazio alle polemiche, quando il male comune chiama all’uniformità delle azioni che possono opporvisi.

Le epidemie saranno sempre possibili, come i terremoti e i cataclismi in genere; fanno parte della materia biologica della quale siamo fatti, ce lo insegna la storia anche recente. Le epidemie generano sofferenza e dolore, in dimensioni variabili, ma spesso incommensurabili. Bisogna farsene carico; dunque bisogna sperimentare nuove modalità di convivenza con tali pericoli: questo è ciò che viene richiesto a chi si occupa del governo della società. Non sembra che ci sia la necessaria preparazione; non sembra che l’imprevedibilità di questi eventi stia trovando le risposte più adeguate.

Foto di Corrado Milia

Il nostro SSN ha già sviluppato modelli efficienti e umanamente sostenibili per rispondere alla sofferenza, specie nel grande campo delle cronicità: ne siamo testimoni diretti. Abbiamo la certezza di dover perseguire una strada: quella che ci aiuti a mutuare mezzi, capacità ed esperienze già maturate in questo campo anche nell’ambito delle imprevedibili sciagure, come quella cui stiamo assistendo. 

Ciò cui stiamo assistendo sta lasciando spazio ad una considerazione, che a noi sembra il più grande insegnamento. L’epidemia di una malattia infettiva impone l’allontanamento reciproco, il mantenimento di distanze di sicurezza, la creazione di barriere interumane. L’epidemia ha un andamento incline alla separazione degli individui fra di loro. Ma l’umano soffrire richiede l’esatto opposto: richiede solidarietà vicinanza, partecipazione, lo stabilirsi di relazioni forti, che aiutino reciprocamente a sostenersi e superare insieme il dolore. L’Italia sta già dando manifestazione di questo: qualche giorno fa sono state organizzate spedizioni umanitarie verso la Cina, mentre il mondo scientifico, ad esempio, ha già trovato le risorse necessarie per coordinare ricerca, prevenzione, assistenza. Abbiamo, dunque, già esempi di come, da un’apparente forza distruttiva e dispersiva, possa nascere il suo esatto opposto; l’adesione, la cooperazione, la solidarietà.

Ed è un paradosso, certo. Ma appartiene a noi, uomini. Dovremmo ricordarcene soprattutto quando tutto questo, speriamo presto, sarà finito.      È deve essere chiaro al mondo intero che, parafrasando il discorso di Churchill alla House of Commons del giugno 1940, ‘’l’Italia e gli Italiani non si arrenderanno mai’’.