Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

Statuette di politici nella bancarelle  quest’anno a Napoli  nei vicoli di San Gregorio Armeno

di GAETANO DE BERNARDIS

In passato, nella lunga stagione stagione della cosiddetta “prima repubblica”, il linguaggio della politica, in virtù dei suoi necessari, e talora abusati,  tecnicismi, è stato definito astruso, per pochi, che parlavano ad una ristretta cerchia di persone, capaci di intendere il loro linguaggio. Insomma un linguaggio “castale” si direbbe oggi, che non teneva in alcun conto le esigenze di comprensione di quanti non si occupavano di politica. E’ stato  definito, con efficace neologismo,  “politichese”. Leggendaria al riguardo la locuzione “convergenze parallele”, attribuita erroneamente ad Aldo Moro , ma anche criptiche le espressioni del tipo “tasso programmato di inflazione, “clausola di salvaguardia”, “nella misura in cui”, eccetera. Questo genere di linguaggio, il politichese, per l’appunto, si fondava su un presunto senso di superiorità del politico rispetto all’uomo comune e più questo  si usava , più si mostrava la competenza, presunta o reale, dell’uomo  politico che ne faceva uso.

A partire dal ’94 e cioè dall’avvento della cosiddetta “seconda repubblica” tutto è cambiato: a un linguaggio istituito sulla presunta superiorità dell’utente ne è subentrato un altro fondato essenzialmente sul “rispecchiamento”. In altri termini, “se prima si mirava a impressionare l’uditorio facendo pesare la propria superiorità culturale, ora si prediligono forme espressive elementari che hanno la funzione di simulare schiettezza, sincerità, onestà, come sostenuto anche da Berlusconi al momento della sua fatidica “discesa in campo”. Insomma,  dal “votami perché parlo meglio (e dunque ne so di più) di te” si è passati al “votami perché parlo (male) come te” (G. Antonelli Volgare eloquenza , Laterza 2017). Così si può affermare che dal politichese si è passati al “gentese” (nel senso di usare il linguaggio della gente, intesa coma massa indistinta), passaggio che potrebbe essere in sé un fatto positivo, se non si ammantasse di intenti populistici, sdoganando orribili errori ortografici, pessime espressioni pecorecce (chi non ricorda il celodurismo di stampo bossiano?), discutibili battute pseudocomiche o barzellette estremamente volgari. E allora altro che linguaggio chiaro e semplice per farsi capire dalla gente!  Il linguaggio del mondo della politica oggi appare piuttosto orientato a vellicare i bassi istinti del popolo bue, magari per rincorrere qualche voto in più rispetto a sua maestà il sondaggio!

Comments

  1. In fondo il linguaggio cos’è se non uno strumento di comunicazione e, in quanto tale, necessariamente correlato alla cultura di chi si dovrebbe convincere ?

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