Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

PASQUALE HAMEL interviene sull’articolo di CARMELO FUCARINO

Caro Giovanni, caro Carmelo. A proposito dell’articolo di Carmelo , pubblicato dal tuo blog l’altro giorno, credo che a parlare di razzismo come se ne parla oggi in Italia si finisca alla fine per consolidare la falsa leggenda che siamo tutti razzisti.

 

Pasquale Hamel

Spigolando fra le tante memorie, come fa Carmelo, è facile infatti, astraendole da contesti più vasti, trovare frasi o battute a sostegno di una tesi. Detto questo voglio ricordare che il concetto di razzismo è qualcosa di più complesso di quel che appare e che non può esaurirsi in una frase o in una battuta. Visto che si è parlato dei Mille e dell’avventura di Garibaldi, non trovo niente di razzistico in evidenti constatazioni qui riportate. Dimentichiamo infatti cos’era la Sicilia nel 1860 ? Dimentichiamo le considerazioni che meno di un secolo prima aveva espresso Domenico Caracciolo di Villamaina al momento della sua nomina a viceré di Sicilia ?

Dimentichiamo il resoconto dell’abate Balsamo sulle condizioni dell’entroterra siciliano ? Dimentichiamo le tante e dettagliate relazioni dei funzionari borbonici ? Dimentichiamo le considerazioni del procuratore Ulloa ? Dimentichiamo il mondo semitribale dei contadini di Bronte che fu la vera ragione di quell’ordine che nonostante tutto impose Bixio ? Razzismo è cosa diversa dalla giustificata meraviglia per costumi o modi di essere poco coerenti con i canoni di civiltà raggiunti. Sarebbe, dunque, il caso che non si cadesse nella trappola delle cretinerie di taluni ma che, piuttosto del ricorso a concetti estremi, si rispondesse, pacatamente, smentendo l’errore o gli errori con quella saggezza e sapienza che intellettuali come l’amico Fucarino posseggono in abbondanza.

CARMELO FUCARINO

Carmelo Fucarino

Naturalmente potrei cominciare con la specificazione che è necessario in ogni definizione socio-politica “contestualizzare”: quello che fu un secolo fa potrebbe non essere valido ed adattabile ad un contesto dell’attimo presente. Le società cambiano pelle e le situazioni, i concetti, le ideologie, diciamo più terra terra i costumi mutano. Una volta e forse ancora oggi si parlava di “progresso”, io sono propenso a definirlo più semplicemente “crisi di trasformazione”. Mi stava stretto il concetto di Johann Joachim Winckelmann di nascita, maturità e decadenza. L’ellenismo fu diverso dall’età di Pericle, ma non meno portentoso. Come il Secentismo o Barocco rispetto al Rinascimento. Dopo questa premessa, non ci posso far nulla, ma a me, che ho girato il mondo per curiosità umana e non per turismo, che ho mangiato seduto a terra pesce su foglie di banano, a me sta stretto quel concetto negativo di Africa e di “africano”, a noi elargito. Chiunque lo dica e in qualsiasi tempo. Non perché mi senta offeso io dell’attributo, ma perché sottintende il segno negativo di quel continente. Perciò non mi piace la ripresa in altro contesto dell’immagine della “linea della palma” (lui aveva giustamente l’appartamento a Parigi), aborro il termine offensivo di “sicilitudine”. I nostri veramente eccelsi scrittori parlarono da uomini universali e di uomini di ogni luogo e tempi e non di piccole beghe di processetti locali. Anche mastro don Gesualdo è universale, come i personaggi in cerca di autore. 

Certo, non tutti gli Italiani siamo razzisti. Ma un buon 30% purtroppo sì. Le svastiche contro gli ebrei sopravvissuti e i linciaggi ad libitum di neri. Basta salire sul 102 per avere il polso. E la tragedia è che è il popolino ad esserlo, ingannato dalla bugia che avrebbe lavoro a bizzeffe, se… Il guaio è che non farebbe quel lavoro da… negri. Potrei dire che poche famiglie a Palermo non avevano la cameriera veneta e che sui piroscafi della tratta dei bianchi propiziata dai nostri governi, l’orrendo picco del 1904, c’erano anche straccioni nordisti. Ma che vuol dire? Chi lascia la propria casa è sempre al limite della sussistenza. Tornando alla questione di fondo e alla specifica di razzismo. Capisco che l’attribuzione è passibile di preconcetti ideologici e socio-politici. Un dato dovrebbe essere però incontrovertibile: esso è  opposto alla constatazione e all’accettazione “in toto”, senza paletti o distinguo, della “diversità”. Anche sulla Sicilia in un contesto di mistica patriottica si potette parlare del Regno delle due Sicilie, come un paese medioevale del male e dell’arretratezza, della miseria, etc. Era nella logica della conquista, aborrita nel termine dallo stesso Garibaldi, al quale, ripeto, va tutta la mia sconfinata stima. Non sarebbe finito a cadenze a Caprera, l’sola delle capre. Contro “l’annessione strisciante”. Non entro in polemica su Bixio uomo violento. Verga ne sapeva di più di me. Sono certo e solidamente convinto che l’Unificazione era necessaria. Mi opprime ancora il metodo, le cui conseguenze pesano ancora. Nessuno può negare che siamo ancora sudditi da sfruttare, colonia milanese. I contributi tutti di questo blog lo confermano. Sì, le bellezze di Palermo sono frutto di sangue e sudore di un popolo sfruttato. Ma io ho toccato con mano l’arretratezza di certe zone del Piemonte, che non è la Torino con il sudore di mio cognato, ma che la Cuneo. Palermo oggi risplende per i saloni, le regge dei nostri aristocratici che Visconti immortalò. Tolti quei borbonici, mancano pure le chiese in anni successivi. Anzi molti luoghi di culto e di istruzione furono svenduti al migliore offerente. Giuro che i Borbonici odierni mi fanno ridere, come i savoiardi. 

Eppure in quello sfacelo medioevale ci fu, chi lodò la Sicilia e la mia Prizzi, della quale parla Abba che paventava stragi e rivolte, con lo stupore postumo del generale “tosto”, ma umano, Bassini, inviato in missione. Cosa diversa da Resuttano. Su quel fatidico e misterioso giorno 26 giugno a Prizzi un giovane entusiasta liberale scrisse alla mamma, Giulio Adamoli, nato a Besozzo, paesino del Varesotto: «Trasecolammo di trovare lassù tanto lusso di arredi e tanta squisitezza di conforti nelle ricche abitazioni, in cui fummo colmati di cortesie. Il comandante, accompagnato trionfalmente, fu ospitato in forma addirittura principesca. A tutti indistintamente i soldati s’imbandì un lauto banchetto». E dichiarò poi: «La straordinaria ricchezza dei paesi dell’interno m’impressionò talmente, che avevo raccolto dati e notizie con un lontano e vago proposito di tornare laggiù a tentar la fortuna, a guerra finita. “Questa Sicilia è ricca tanto, che pare un paese di fate”, scrivevo a casa il 5 luglio. “Un proprietario mi raccontava, che  avendo comperato tremila capi di bestiame, in un anno raddoppiò il capitale; un altro mi assicurava, che il suo fondo gli rendeva il cento per cento. Il grano produce sino a trentadue sementi per una; dove poi ci sono solfatare, si fanno guadagni favolosi. E sì che l’agricoltura è preadamitica!” – Quale mutamento da allora a questi tempi!» (ADAMOLI GIULIO, Da San Martino a Mentana. Ricordi di un volontario, nuova edizione economica, Milano 1911, p. 77).  Ma anche Abba non potette che confermare: «Furono accolti a Prizzi come prìncipi» (ABBA GIUSEPPE CESARE, Da Quarto al Volturno: noterelle di uno dei mille, Bologna 1890; presentazione di Salvator Gotta, commento a cura di Giovanni Cenzato, Milano, 1960, p. 50, Rocca Palomba, 28 giugno).