Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di PASQUALE HAMEL*

Palermo, città dalle poderose vestigia culturali, grazie alla creatività del suo sindaco di lungo corso, paradossalmente si ritrova ad essere città di cultura senza un assessore alla cultura. Pochi hanno infatti colto la sottigliezza che sottende al cambio di denominazione dell’assessorato alla cultura divenuto, con la nuova giunta varata nel maggio scorso, un pomposo “assessorato alle culture” e, per questo motivo, affidato ad un valente medico, di origine palestinese, già animatore di un’altra originale istituzione, parlo della Consulta delle culture, tirata fuori dal cilindro del creativo Orlando.

* pasquale hamel, scrittore e storico, l’ultimo libro pubblicato: “Costanza d’altavilla, biografia eretica di una impreratrice”, edizioni rubettino. 

C’è infatti, dietro questo apparentemente insignificante cambio di denominazione, un progetto ed un obiettivo, quello di dare una spinta ulteriore all’idea di fare di Palermo, confermando i riti folkloristici dell’accoglienza (?), una città “multiculturale”cambiando, in modo radicale, la natura di una città che storicamente, se si fa eccezione dei 150 di presenza normanna, è stata rigidamente “monoculturale”. Prendere atto che il volto della città sta mutando, anche in forza della presenza di forti comunità spesso portatrici di identità culturali forti, è atto di intelligenza politica ma scegliere la strada peggiore per avviare il progetto di integrazione, è atto di demagogica stupidità. Lo confermano le esperienze di alcuni Paesi del nostro Occidente. Lo conferma l’esperienza inglese in cui si moltiplicano i fori speciali che mettono in forse i principi dell’89, lo conferma l’esperienza canadese e così via. Bisognerebbe che il nostro sindaco, che si autorappresenta come campione di umanità, e con lui il cerchio magico e i fanatici – per la verità sempre meno numerosi – che lo sostengono sfogliassero qualche libro sul significato del termine “multiculturalità” per scoprire quale terribile iattura corrisponda a quel progetto. “Multiculturalità” è infatti la scelta del ghetto, in cui ciascuna comunità resta chiusa a difendere rigorosamente la propria identità e quindi disponibile al conflitto per l’affermazione dei propri valori. La “multiculturalità” è un ostacolo evidente all’integrazione e, in fin dei conti, mette in pericolo la coesione sociale. Ma tutto questo al nostro sindaco forse non interessa, gli interessano di più gli applausi di chi non capisce e di chi sente come peccato originale l’appartenenza ad un mondo che, pur con tutti i limiti e tutte le distorsioni, ha fatto del rispetto dei diritti umani la propria cifra identitaria.

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