Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di PASQUALE HAMEL

Il virus c’è, il virus non c’è, l’allarme è stato esagerato o, al contrario, doveva essere accentuato. La verità, diceva un vecchio adagio indiano, sta sulle ginocchia di Buddha. C’è, infatti, molta confusione, una massa di messaggi contraddittori amplificati dai social, e il cittadino appare disarmato e, in conseguenza, disorientato. A complicare le cose ci si mettono pure gli stessi medici, virologi o infettivologi che, affascinati dallo spazio pubblico che i mezzi di comunicazione hanno loro regalato fanno a gara a chi la spara più grossa. L’ultima, quella del famoso professor Zangrillo che ci comunica con grande solennità che il virus clinicamente non esiste. Un gioco di parole che nasconde un’affermazione dietro una negazione. Lo precisa, con la compostezza e la serietà che le appartiene dalla lontana America, dove la furia iconoclasta dei grillini l’ha costretta ad espatriare – e dove ha trovato non solo rifugio ma giusti riconoscimenti – la professoressa Ilaria Capua. Il virus non esiste clinicamente non perché sia scomparso o, meglio ancora, perché si è depotenziato, ma perché abbiamo frenato il contagio e perché abbiamo imparato a curare coloro che ne sono affetti. Insomma un caos accresciuto da questa nuova realtà meritocratica con la quale, ancora, non abbiamo fatto fino in fondo i conti. Intanto, però, si riapre perché, ed è questa la vera giustificazione del provvedimento, non possiamo scampare il virus e “morire di fame”