Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di Maria Provenzano

La vita scolastica sempre più è connotata dai racconti di insegnanti  che, nel primo ciclo di istruzione, vivono situazioni problematiche irrisolte che, nonostante le ripetute richieste d’aiuto, non trovano risposta. Pensiamo alla gestione dell’inclusione degli alunni con grave disabilità. Si verificano casi in cui all’ingresso in classe di un bambino disabile , con imprevedibili manifestazioni di comportamento aggressivo, i compagni mostrano le reazioni più disparate: chi indietreggia con il corpo pur restando seduto al proprio posto, chi prova ad avvicinarsi per salutarlo ma con palese timore, chi si alza per allontanarsi da lui. Il lavoro degli insegnanti si concentra sulla rassicurazione dei bambini, sul tentativo di impedire la fuga o atti violenti contro i compagni da parte del bambino disabile. Gli insegnanti di sostegno non si sentono tutelati, temono per la propria incolumità, si preoccupano delle errate interpretazioni del proprio operato. Subentra lo sconforto perchè, nonostante l’impegno costante nel prendersi cura di questi bambini, ricevendo, da non pochi di loro, talora o spesso, calci, graffi e morsi. Occorrerebbe maggiore collaborazione dei genitori, ma la scuola ha assunto per molte famiglie una valenza “altra”, non prioritariamente educativa. Eppure i bambini della classe si confrontano con le proprie emozioni, lottano contro i propri pregiudizi, coltivano l’empatia nel comprendere questi comportamenti diversi del proprio compagno disabile. Nel creare condizioni di vera inclusione la scuola lotta anche per garantire l’integrità fisica e psichica di ciascuno.

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