Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

 

Al museo di Palazzo Riso , a Palermo, ( dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 20 ) la mostra di Giuseppe Veneziano. Pubblichiamo una parte del saggio critico di Aurelio Pes ed una gallery dedicata ai suoi dipinti. Cliccare  qui per le immagini 

di AURELIO PES

…..L’arte, persino quella in apparenza più innocua, è sempre radicale, unica, totalizzante. Per questo, ogni nuova  entelechia che occupa il nostro sguardo, è nemica mortale d’ogni altra evenienza e pretende la scena tutta per sé.Prendiamo, ad esempio, i quadri di Giorgio Morandi. In prima istanza, essi appaiono come una raccolta di umili nostrales, come caraffe, bottiglie snelle tonde rettangolari, taniche di metallo, bicchieri e ciotole calcinate di ceramiche grezze, sottratte spesso alle discariche. E’ soltanto in seconda istanza che tali abitudinarie tassonomie, basiche e  limitate, cominciano lentamente a rivelare la loro natura più autentica, Lévi–Strauss ha con acutezza definito lo sdoppiarsi della loro rappresentazione, argomentando che tali oggetti, esibiti nella nuda scorza di appartenenza, evocano poi in realtà, sulla tela, sistemi parentali complessi di uomini donne bambini patriarchi e matrone da lungo tempo scomparsi; ma che continuano animisticamente  ad abitare in quegli oggetti che essi hanno peraltro ideato e costruito con le proprie mani, e che sono dunque di loro esclusiva pertinenza. Una identica magia fa l’incanto anche del vasellame preistorico, perfetto nella sua forma, mimata  sul ventre fecondato delle donne, che custodisce  al suo interno acqua, resti di cibo, conchiglie per ornarsi, colori per uso cosmetico; o per le pitture parietali, che raccontano storie di caccia, mentre all’esterno, linee intersecantesi, nelle quali ammiriamo il dispiegarsi ritmico, tutt’altro che un ornamento, sono invece una lingua da decifrare, che, esattamente come gli annali dei Greci, dei Romani, dei Cinesi, scritti da Erodoto, Tito Livio, Confucio, decrittano per noi minutamente il costituirsi  delle tribù, la loro vita domestica,  i fiumi abitati dai pesci, ma anche dai feroci coccodrilli, oltre a guerre rituali, a danze cosmiche, e così via.

Ora questa duplicità ben visibile, che s’invera nell’invisibile, è anche la radice profonda, dell’ arte  di Giuseppe Veneziano, tutta costruita  non sulla provocazione, oggi di moda, bensì sulle opere grandiose di Michelangelo, di Raffaello, di Velasquez, di Leonardo, per poi trovare in sé la forza di smarrirsi, senza soprassalti di stucchevole saggezza, nel mondo dell’infanzia, di cui la fiaba è il puro miele. Compito, il suo, fra i più difficili da conseguire, se è vero quello che scriveva Tolstoj in una splendida pagina di Anna Karenina: quel tono falso che assume il padre nei confronti del figlio, giudicato senza ambage intellettualmente inferiore, cui bisognerà comunque uniformarsi per convenienza umana e sociale. Il mondo di Veneziano è invece quello di chi ha saputo andare, come Alice, oltre lo specchio per affermare, ebbro di libertà: “Che importa mai dove potrà trovarsi il mio corpo? La mia mente seguita a lavorare lo stesso. Anzi più mi trovo a testa in giù più invento cose inusitate”. Come per esempio accade al Cristo crocifisso, che levita nell’azzurro insieme ai palloncini gonfi d’aria che lo sorreggono, o all’immagine splendida della Madonna che coccola un bambino già gravido di storia, in divisa militare, con la svastica in evidenza sul braccio sinistro, i capelli stirati sulla fronte e i baffetti mozzati alla Chaplin, che cerca un’impossibile redenzione. Giacché, seguendo Sant’Agostino, anche il bimbo in Veneziano è carico di vizi, e il piccolo Hitler – anagrammato – a tre anni è già Rethil. Né si salva Biancaneve, che allo specchio civetta con il suo corpo nudo; o presenzia a scene sado-maso; o uccide i sette nani colpendoli con una pistola alle spalle, o duplica il suo volto con l’immagine della crudele regina mostrando nel contempo, con un colpo d’anca, la coscia ignuda. Naturalmente, Walt Disney, anch’egli duplice, non a caso definito “il principe nero di Hollywood” per le sue presunte simpatie filonaziste, e simultaneamente il creatore dei paradisi dell’infanzia, incombe su di noi, seguito dallo sguardo ironico di Veneziano nel suo Self – Portrait, variazione sul tema della Gioconda, che qui raggiunge vertici rabelaisiani. E così, arruffando il tempo trascorso, riesce a Veneziano l’impresa memorabile di trasformare ogni singolo evento in un bal masqué, dove figure appaiono e si dissolvono , come in certi quadri del Giorgione, dove liuto canto flauto formano una vera trinità, nella quale la voce, divenuta poesia , è il legame più saldo e veritiero fra il mondo umano e il cosmo, uniti in un accordo di bellezza che è anche l’espressione figurata del loro costituirsi. Per la personale palermitana di Veneziano si è ideato un allestimento cromatico, dove il tempo della mostra sarà scandito dal lento evolversi dei sette colori dell’arcobaleno: il bal masqué troverà invece la sua rappresentazione sonora nella raccolta di musiche curata da Leopold Stokowski per il film Fantasy di Walt Disney.

 

 

 

Aurelio Pes

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