Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di PASQUALE HAMEL

Alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia solo il 27% degli abitanti sapeva leggere, un triste primato per una terra che, nel passato era stata la culla della cultura. Il confronto con paesi come la Svezia, dove la percentuale saliva al 90%, alla Prussia, dove si attestava all’80%, o alla Francia e Inghilterra, nazioni nelle quali la stessa oscillava fra il 70 e il 67 %, rendevano evidente l’arretratezza degli stati che si dividevano il territorio della penisola. Ma il dato assumeva contorni ancor più drammatici a osservare in che modo gli stati preunitari contribuivano a formare questo stesso, pur modesto, 25%. C’erano infatti stati che avevano puntato sull’istruzione considerandola precondizione per lo sviluppo, e stati che anche per il timore di scuotere gli equilibri sociali avevano trascurato ogni impegno nel settore.  Lo stato che si era meglio cimentato col problema era il Regno di Sardegna che, attraverso leggi mirate a quest’obiettivo, era riuscito ad arrivare al 42% di alfabetizzati con un picco del Piemonte che aveva raggiunto il 50,6%, dato molto vicino a quel 55% che poteva vantare l’impero austro-ungarico.

Felice Casorati in un dipinto esposto al museo della Gam di Palermo

La maglia nera apparteneva al Regno delle Due Sicilie, che raggiungeva la media del 14,4%. Un dato che ulteriormente scomposto rende un quadro non esaltante. Infatti, se la Campania – che era la provincia più vivace del regno – arrivava ad una percentuale del 18,2%, la Sicilia si collocava al terz’ultimo posto con appena il 12,7%, seguita dalla Calabria con il 12, 1% e dalla Basilicata che arriva appena all’11%. Causa di questo evidente divario era il mancato investimento nel settore in molta parte giustificato dalla particolare distribuzione della popolazione sul territorio ma anche, e soprattutto, dalla mancanza di risorse da destinare a questo scopo. Si è vantata, come fatto positivo, la bassa pressione fiscale del regno meridionale, senza pensare che proprio questa bassa pressione fiscale – peraltro frutto di una precisa scelta politica che era quella di non creare malumori fra le popolazioni – era proprio la causa della mancanza di risorse per procedere ad adeguati investimenti nel settore istruzione come invece faceva, nello stesso periodo il Piemonte sabaudo sotto la illuminata guida dei liberali, il conte Camillo Benso di Cavour in testa.