Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

Particolare di un’opera esposta. Un click QUI per vedere altri dipinti in mostra

  PAOLA D’AMORE

Città metafisica, scrive Paola D’amore dei titolo della sua mostra, è un ossimoro, ossia l’accostamento di due parole dal senso contrario.  E di ossimori la scultura di D’ Amore si nutre. Forma spazi geometrici lineari. Che poi riempie di agitazioni fantastiche. Crea colonne che sono ….

rettangoli perfetti, ma nel rame i suoi furori si traducono in ondulazioni estrose. Così come le colonne greche, dove poi colori, linee e volumi si rincorrono e giocano in percorsi fantastici e indefinibili. Ragione e passione si intrecciano in queste sculture. Bellissime da vedere perché ti inducono a fuggire dallo spazio. Pubblichiamo una parte del piccolo saggio con cui l’autrice presenta le opere esposte, fino a fine mese, nella sale di Palazzo Aiutamicristo . A Palermo, numero 41 di via Garibaldi gp

E POI LA TECNICA DIVENT0′ FINE ASSOLUTO…..

 di PAOLA D’AMORE

“Città metafisica” è un ossimoro. Da una parte, la città, ossia una realtà concreta, espressione della razionalità umana; dall’altra la metafisica, ossia il superamento della realtà, prescindendo da qualsiasi dato dell’esperienza. Eppure quest’ossimoro esprime…. la condizione umana dell’età presente. Basta vedere la città con la prospettiva metafisica, di cui parlava il Maestro Giorgio de Chirico, e che, in estrema sintesi, significa andare al di là delle cose fisiche: guardando certi oggetti appaiono delle forze, degli aspetti, delle prospettive che sono visti “al di là delle cose fisiche”. Così è possibile addentrarsi nell’osservazione della realtà, andando oltre la semplice apparenza, per scoprire l’esistenza di un mondo surreale dove basta mutare i rapporti tra le cose e le prospettive per scoprire nuovi significati. 

La città è l’incarnazione e il simbolo più evidente e di comune esperienza della razionalità tecnica che ha caratterizzato la storia dell’Occidente e oggi la storia del Mondo. Nel 1600 – il secolo in cui fa la sua comparsa la scienza moderna, con Bacone, Galileo, Cartesio – quando, come scriveva Cartesio, l’uomo, grazie al metodo scientifico, diventa maître et possesseur du monde, si immaginavano delle città tecniche, che sono state descritte in opere che prefiguravano gli scenari prodotti dalla rivoluzione scientifica. Basta citare, La nuova Atlantide di Bacone, Utopia di Tommaso Moro, La città del Sole di Campanella. Si trattava di proiezioni fantastiche perché ancora la tecnica doveva dispiegare tutti i suoi effetti, ma che valgono a porre la città come simbolo della potenza della tecnica e del suo dominio sulla natura. La città, del resto, è sempre stata contrapposta alla campagna, dove resiste la natura; essa è chiusa e separata da quest’ultima grazie alle sue mura, diventa successivamente un prodotto della razionalità tecnica con l’affermazione, tra il sette e l’ottocento, della pianificazione urbanistica. Per poi arrivare ai grandi hubs urbano-tecnologici dei giorni nostri – da Los Angeles a Shangai, da Londra a Milano – dove non solo la città è modellata dalla tecnica – l’urbanistica, l’ingegneria, la scienza dei materiali – ma è il luogo privilegiato dell’innovazione tecnologica. Con il che siamo entrati pienamente nell’era presente, che Emanuele Severino chiama “l’età della tecnica”.  E’ un mondo in cui la tecnica da mezzo, per raggiungere un fine desiderato, diventa un fine assoluto che domina tutte le altre dimensioni dell’esistenza, dall’etica alla politica, fino ad arrivare a sopravanzare persino sull’economia…

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