Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di FRANCESCO ATTAGUILE

Domani Ursula von der Leyen sottoporrà  al parere del Parlamento Europeo la proposta legislativa della Commissione per la ripartenza economica (e politica) dell’UE. Sarà un momento importante per l’Europa, come quello che 65 anni fa in questi stessi giorni vide riuniti in Sicilia i Ministri degli Esteri dei futuri Paesi fondatori, invitati a Messina-Taormina da Gaetano Martino. Allora si doveva convincere la Francia a superare le perplessità per accelerare la costituzione della Comunità Economica Europea, che si  sarebbe perfezionata a Roma due anni dopo. Anche questa volta, dopo molti stop and go sulla via dell’unione politica, sotto la spinta della pandemia sembra proprio la volta buona per rompere resistenze e indugi. Di questo avviso sono infatti 5 dei 6 Paesi fondatori, con in testa i tre “grandi” -Germania, Francia e Italia- seguiti da gran parte dei sopraggiunti fra cui un altro “grande”, la Spagna. 

Frenano ancora Olanda, Austria, Danimarca e Svezia (tutte insieme con popolazioni inferiori alla Polonia), con non poche ambiguità dei Paesi “sovranisti” (Ungheria etc.) i quali, dopo aver attinto a piene mani dall’UE per la ricostruzione postcomunista, esitano ora a dare solidarietà a quelli più in difficoltà. Sono in ballo non solo i 500 miliardi (e forse più) della proposta Macron-Merkel appoggiata dall’Italia e dalla Spagna, non solo il Recovery Fund, non solo gli altri 200 del vecchio MES (di cui ce ne spettano 37 a tasso simbolico e senza altre condizioni), non solo i 100 del SURE per alimentare le casse integrazioni, senza contare gli interventi di BEI e FEI per i grandi progetti e quelli della BCE per coprire con l’acquisto dei loro titoli l’ulteriore indebitamento dei singoli Stati membri e dare liquidità alle banche. Questa volta la Commissione Europea, cui spetta la proposta, non porrà davanti al Parlamento solo la pur rilevantissima conferma del massiccio sostegno economico solidale dell’Europa ai suoi popoli in difficoltà, ma la rinuncia al ruolo di custode intransigente dei rigidi vincoli imposti dal patto di stabilità, già travolti dalla emergenza coronavirus. Soprattutto però potrà lanciare una più ambiziosa sfida, che comincia scavalcando finalmente il muro dell’1% del bilancio poliennale rispetto al PIL, con conseguente politica fiscale comune, tassando le multinazionali e i giganti del web e impedendo ai membri furbetti -come l’Olanda- di allettarli con tassazioni ridicole che consentono loro di fregiarsi come “europei”

È l’occasione per la (finora) timida Presidente della Commissione di ergersi a leader politica dell’Europa, ormai con l’avallo della “maestra” Angela Merkel, per avviare il nuovo corso.  La svolta dovrà proseguire nei prossimi Consigli Europei e in un’apposita Conferenza intergovernativa per l’abolizione dell’unanimità nelle decisioni e l’elezione diretta (o in Parlamento) della Commissione, con l’ulteriore incremento del bilancio fino ai livelli di uno Stato federale, una vera politica estera comune con rinuncia dei singoli membri a perseguire i loro limitati obiettivi nei rapporti internazionali (comunque soccombenti di fronte ai colossi Cina, USA, Russia e perfino Turchia, come dimostrato nelle crisi anche prossime). E poi l’esercito europeo, i trasporti, il digitale, il Green Deal e la Blue economy etc.etc.Questo è l’orizzonte ambizioso che si apre, con la grande opportunità di “sbloccare” l’Europa dalla sua sclerosi, come ormai vuole anche la guardinga Germania, stimolata dall’innovatore Macron a superare la nota “sindrome di Weimar”, per riprendere il cammino indicato dai padri fondatori, oggi più che mai necessario nello scenario globale. Chi si oppone, come l’Olanda, continua a privilegiare i propri miopi interessi di bottega, mentre alcune minoranze sovraniste che anche da noi la affiancano sono a dir poco autolesioniste.Francesco Attaguile