Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di GIOVANNI PEPI

L’Italia si blinda. Giusto. Sembra prevalere, non senza incertezze, la linea di chiudere tutto prima per ricominciare prima. Speriamo. Intanto i cambiamenti non mancano. Cambia la Bce. Nell’arco di una notte moltiplica di sette volte gli aiuti finanziari. Cambia l’Europa. Rinuncia al patto di stabilità autorizzando deficit senza vincoli. Cambierà l’Italia. ? Lo sforzo nel presente , sul fronte sanitario, è senza risparmio. Encomiabile. Ma quali strategie si elaborano per il futuro dell’economia ? Si decidono buone misure nell’immediato: liquidità alle imprese, tutela dell’occupazione, sostegni nel credito. E Giuseppe Provenzano ricorda a L’Avvenire quelle riservate al Sud come “ l’anticipo del Fondo sviluppo e coesione al 20 per cento, circa un miliardo in più di liquidità a imprese e amministrazioni”.

Non sappiamo ancora bene , però,  su quali modelli si ragiona per la ripartenza. Intanto, nelle dichiarazioni pubbliche, c’è una parola mancante: il Sud. Lo scrivo esponendomi all’obiezione più semplice: i motori dell’Italia sono fermi, non si può del Sud parlare sempre. La questione casomai è differente: perché non si può farlo mai ? Qui, ora e subito, si incrociano due fattori: la Sanità nell’attualità dell’emergenza , l’Economia in quella che insorgerà in futuro. Quanto alla prima si è a una corsa contro il tempo nel competere con la curva del contagio. Bisogna attrezzare un sistema ospedaliero desertificato, come ben riassume Vincenzo r. Spagnolo su l’Avvenire,  da sperperi insensati prima e tagli draconiani dopo . Quanto alla seconda, conosciamo solo il punto di partenza. Prima del tempo del Corona virus il Sud era già in recessione. Il Nord no. Il Nord cresceva e accoglieva emigrati. Il Sud si svuotava. La disoccupazione sfiorava il venti per cento al Sud, più del doppio di quella del Nord.  Le città del Nord erano ai livelli più alti per qualità della vita, quelle del Sud in coda.  

E nulla di nuovo sotto il sole. Nel suo territorio vive un terzo degli italiani. Ma si produce poco meno di un quarto del reddito. Il pil procapite è la metà di quello del centro nord.  Carlo Bonomi, dopo gli annunci di Giuseppe Conte sulle nuove restrizioni, dichiara a La Repubblica: “..quando usciremo da questo incubo ci troveremo in una situazione da economia di guerra” Che significa una economia di guerra al Sud, dove per esempio una filiera trainante, come quella del turismo, tra lidi e musei, ristorazione e alberghi, vede già a picco le prenotazioni fino al fatturato zero ? E’ bene prevedere. Francesco Attaguile, responsabile per il Sud del Centro Democratico, dice , nell’intervista a questo blog :”…bisogna capire che Il nostro Sud può fornire il maggior contributo netto per il ‘bene comune’ e sarebbe grave miopia concentrare anche le risorse per uscire dal ‘male comune’ ancora una volta solo sul Nord…”

Si sarà miopi? Ancora una volta si vorrà far decollare il paese riaccendendo un motore solo? Cattiva domanda, forse. Speriamo sia buona la risposta. Quanto meno, nel fare di tutto nel Nord per ripartire , si faccia altrettanto per impedire al Sud di regredire. Se si spingerà , come si deve , la leva degli investimenti pubblici si rispetti quella quota di riserva del 34 per cento fissata per legge in favore del sud ( ma è ancora lontana ). Se si introducono, come è inevitabile, procedure speciali, per accelerare l’apertura dei cantieri, si sia rigorosi, soprattutto al Sud nel sanzionare , commissariando, pigrizie e inadempienze. Potremmo , a discorsi del genere, sentirci dire di essere “i soliti piagnoni”. Mi piace ricordare Domenico La Cavera: “ Piagnoni ? Chi lo è sbaglia” Aggiungendo: “il fatto è che non c’è niente da ridere”. Meno che mai adesso.