Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di GIOVANNI PEPI

Si discute molto su Radio Radicale (qui )sulla legittimità del ribaltone , con M5S e Pd, fino a ieri alternativi l’uno all’altro ed ora alleati in un governo. E’ l’argomento principale tra le voci in diretta per commentare la crisi (qui) Della cosa scrivevo in questa rubrica, quando riflettevo sui rischi di un parlamento senza popolo. Ma le opinioni sono diverse. I favorevoli al “governo degli opposti ” hanno dalla loro, senza dubbio, la Costituzione. La nostra è una repubblica parlamentare, maggioranze e governi si decidono in  parlamento e , in parlamento, possono formarsi e sformarsi cambiando e anche ribaltando. Questo vale anche per la fase attuale, quando uno stesso presidente del consiglio è sostenuto da una maggioranza di segno opposto rispetto a quella che lo sosteneva ( passaggio senza precedenti, se non sbaglio). Enzo Giambanco, intervenendo  del dibattito, mi richiama alle ragioni della politica, ambito sempre diverso e distinto da quello dell’etica, dove, invece, certi miei dubbi,  sarebbero fondati. Giambanco ha ragione, ma io non credo di aver torto. Un parlamento senza popolo, ossia decisioni in parlamento in palese contrasto con le indicazioni degli elettori, può essere una scelta possibile per conseguire vantaggi politici rilevanti ( in questo caso, per Giambanco, l’isolamento di Salvini). Ma siamo sicuri che è buona politica ? ( qui ) Tra le forme di democrazia possibile, sono convinto che quella rappresentativa è la migliore. Garantisce , meglio di altre, ( a cominciare , per esempio, dalla “democrazia diretta” tanto cara ai Cinque Stelle ) un punto di equilibrio tra tensioni sociali e risposte istituzionali, tra spinte disgreganti sempre possibili e leggi che regolano e ricompongono, favorisce dibattito e confronto tra diversi. Dobbiamo porci o no, oggi come ieri, la questione del consenso a questo modello ?  Preoccuparci o no che esso resista al fascino di spinte distruttive ( sempre più ,e da più parti, suonano  sirene sull’inutilità del parlamento ) ?

Ora In Italia , vediamo, crescere l’astensionismo dal voto. Si va sempre meno alle urne. Come ricorda Internazionale.it . fino al 1979, in Italia l’affluenza alle urne superava il 90 per cento. Da allora ha cominciato a scendere sempre di più, e non ha smesso di diminuire. Alle ultime politiche ha raggiunto il 73 per cento, mentre alle europee del 2014 è stata del 57 per cento.  ( qui ) Non sono brutti segnali  con cui fare i conti ? Ha colpito poco, a torto, il dato sul quale si soffermava, qualche giorno fa, Federico Fubini su Il Corriere. L’astensionismo cresce e si diffonde di più tra le persone colte, laureati e diplomati ,  tra imprenditori e liberi professionisti, tra dirigenti , insegnanti ed impiegati. Al punto da indurre Corriere.it a concludere, che c’è una distanza da colmare, tra “Borghesia e Politica” (qui ) Non significa nulla ? Oppure bisogna porsi, ora e subito, la questione dei comportamenti più efficaci per tenere vivo il rapporto tra la democrazia rappresentativa e la gente.  Le ragioni della politica  possono pure spingere i partiti ad associarsi in formule di governo in contrasto con quanto promesso al popolo. Ma se il popolo si dissocia sempre più dal parlamento.  ?   

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