Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di CARMELO FUCARICO

Fra tante dicerie, accenni e foto di epoca, ho preso una lampadina a batterie, una di quelle utili per guidare i passi nel buio, e ho cercato nelle tenebre di più di un secolo fa di rovistare nelle concerie di memorie e di appunti. E vi devo confessare che ogni cerchio che inquadravo era contraddetto da quello appena successivo. Un mare magnum in cui intravedevo immagini di odierni ospedali da campo, per carità più rudimentali e sfocate, le stesse mascherine a coprire bocca e naso, una foto di famiglia mascherata con bambini e cane. Anche allora, a quanto pare, non mancava il cane di famiglia. Probabilmente non serviva come alibi per prendere una boccata d’aria, come per gli odierni reclusi per decreto. Ma cominciamo con ordine. Avrei voluto intanto fissare le mete temporali, scoppio o inizio dell’epidemia e scomparsa. Scusatemi se non uso i termini inglesi da noi inventati prima degli anglosassoni per i nostri fenomeni epidemiologici. Ho brancolato nel buio: nessuna esile traccia su questi ovvi riferimenti. Una notizia generica di virulenta tra il 1918 e il 1920. Così semplicemente circoscritta sarebbe troppo superficiale ed insignificante per le intelligenze statistiche e scientifiche moderne. Perciò mi lanciai all’affannosa ricerca del luogo e per conseguenza della data del primo focolaio. Mi disturba l’inutile termine inglese. Un ginepraio in cui tutti i successivi indagatori, pensate, dagli anni novanta in poi, sono concordi nello spiegare che si chiamò “spagnola” (mi evoca una romantica canzone d’amore napoletana), perché fu la sola stampa spagnola a segnalarla, in quanto tutti gli altri paesi combelligeranti la celarono come segreto di guerra.

quella mascherina di secoli fa, Questa immagine è tratta da una mostra di pippo made. Cliccare qui per vedere altre immagini

Si vuol dire che temevano che si associasse a tutte le pesti incentivate dall’assenza di igiene e dai cadaveri abbandonati nei campi di battaglia e ora nelle mortifere trincee. Vi si viveva con l’angoscia di una improvvisa incursione o di una folata di gas mortali. Perché questi si usarono, asfissianti o velenosi, dai Governi delle civili e democratiche società. Lo stress: mentre a detta del mio prof di filosofia, sordo dal lato del cannone e favorito nelle interrogazioni, ci raccontava che lo svago passatempo tra fango e sudiciume, era di distinguere un pidocchio o una cimice femmina dal maschio.Dunque dal 1990 una sequela di fior fiore di studiosi, allora era quasi ignota la professione di virologo, si è messa di buona lena a verificare le tracce del supposto virus. Faccio un lampo di luce sulle ipotesi prospettate per ordine cronologico. Nel 1993 Claude Hannoun dell’Istituto Pasteur risaliva alla Cina come provenienza dell’infezione, ma affermava però che la metamorfosi era avvenuta nei pressi di Boston, da dove i soldati e marinai americani venuti a soccorrere gli angli progenitori, ma anche per sollevare le industrie in difficoltà se lo portarono più arrabbiato a Brest in Francia. Ma non era proprio sicuro dell’arché e ipotizzava pure il Kansas, ma accennava anche alla Spagna, in quel frangente neutrale. Silenzio fino al 1999, quando un gruppo di studio britannico collocò l’esplosione alla fine del 1917 nell’ospedale militare di Etaples in Francia, ove transitavano almeno cento mila soldati tra arrivi e frontiere. Un altro quinquennio e nel 2004 Alfred W. Crosby indicò il punto 0 in Kansas o in Texas (1.100 soldati uccisi) e John Barry lo seguì indicando addirittura la precisa contea di Haskell. Ma si sibilava che già alla fine del 1917 circolava in segreto in circa 14 campi militari statunitensi. Con stupefacente cadenza nel 2009 lo scienziato Andrew Price-Smith, spulciando gli archivi austroungarici giungeva alla sua conclusione che si sviluppò in Austria nel 1917. Nel 2014 lo storico Mark Humphries la indicò come effetto collaterale della guerra e fantasiosamente l’attribuì alla presenza di 96 mila lavoratori cinesi nelle retrovie britanniche e francesi, mentre risulta certo che il virus circolava già prima del loro arrivo e dello scoppio della guerra e della pandemia del 1918.

Anche allora la paura cinese. Pensate, se in questo labirinto di ipotesi sul focolaio 0 sia oggi possibile indicare le vie e i trascorsi di quel virus, per di più allora misterioso e invisibile come in tutte le antiche pestilenze. E già da qui sono incappato nelle difficoltà della definizione. Oggi si dice pandemia influenzale, ma allora… Un nome che non diceva nulla sulla sua identità. Solo prove dell’aggressività, ma nessuna specificità. Solo nel 1951 un primo infruttuoso tentativo da parte dello svedese Johan Hultin di ricavare il virus da cadaveri in Alaska. Solo nel 1997 la sua perseveranza fu premiata e riuscì a ricavare nel villaggio Brevig campioni di tessuto polmonare conservato dal permafrost, da cui fu poi isolato il materiale genetico del virus. La più completa e precisa identità fu raggiunta solo nel 2005. Perciò oggi si definisce influenza di tipo A, la classica influenza stagionale. Non c’è tuttavia consenso universale sull’origine e patogenicità del virus di tipo H1N1, solito innesto tra uomo e neuraminidasi aviaria.   Quando ho poi cercato di avere dati certi in quell’hangar buio di un secolo fa, ogni indagatore diceva la sua su letalità, tasso di mortalità, attacco e cifre sicure. La forbice, come sogliono oggi dire gli statistici, è così ampia che diventa quasi una previsione farneticante e inutile: una delle prime stime pubblicata nel 1927 riferiva 21,6 milioni di morti, altra del 1991 30 milioni, con una forbice tra i 24,7 a 39,3 milioni, nel 1998 si stimava il numero globale attorno ai 20 milioni fino al 1920, nel 2002 si fissava la stima a 50 milioni, con l’ipotesi del doppio, per giungere al 2018, che stabiliva addirittura i decimali, 17,4 milioni. Forbice tra tutte le stime da 15 a 100 milioni di morti. Su una popolazione di circa 2 miliardi il tasso variava dallo 0,75% al 5,6%, in misura estremamente maggiore di quella della terribile e maledetta peste nera 1340, ma infinitesima se si considera una popolazione di soli 400 milioni dell’epoca della peste. Il numero globale di contagiati è stato stimato da alcuni attorno ai 500 milioni di persone. Caso anomalo i più colpiti, non bambini e anziani, ma giovani tra i 18 e i 30 anni, quelli delle trincee a difesa della patria per una guerra inutile ed immorale. In Italia su una popolazione di 36 milioni la forbice è indicata: colpiti 4 milioni e mezzo di persone, morti tra le 375mila e le 650mila.Il contatore reale della popolazione mondiale in questo attimo in cui scrivo mi dà 7.790.812.744 abitanti sulla terra. Casi globali di infettati nello stesso attimo nel mondo, dati OMS, 5.885.490, decessi 363.061, guariti 2.468.011. Per piacere, siate seri, non definitela più pandemia. Allora c’era la denutrizione e lo stress della trincea, l’affollamento in stretti cunicoli, con assalto di cimici e pidocchi, fumi di feci ed orine, in Padania la miseria si tagliava a fette e si moriva di pellagra e di malaria.Perciò da questo impossibile scandaglio con la mia piccola lampadina a batteria ho ricavato relazioni ed insegnamenti.

Prima lezione. Allora la conta dei morti fu sommatoria, senza distinzione di causa, le fosse comuni furono scavate per mancanza di bare, ma anche di personale funerario. Alla aleatorietà delle cifre ballerine si è sommata una scelta politica di mentire. Badate però, in uno stato di guerra mondiale in cui il nemico ascoltava e non si poteva far sapere che metà dei soldati in trincea misteriosamente morivano. Oggi forse c’è la guerra fredda?

Seconda lezione. Il simpaticone di Trump ha consigliato la candeggina, dittatorello bonaccione, altri grandi virologi e scienziati di fama detta mondiale si sono accapigliati sulle terapie e sul trattamento, sull’identità e la durata e non la smettono, altrimenti rimangono degli sconosciuti. Non hanno in mano uno straccio di prova empirica, ma di suggestive ipotesi contrapposte. Da farmaci reumatoidi a plasma infetto, mentre gli abbandonati ad incauti stregoni continuano a morire. Per allora si dice che la vera falcidie fu prodotta da un supposto rimedio, l’uso indiscriminato e massiccio di aspirina, fino ad un grammo ogni ora, dose potenzialmente tossica, che favoriva l’edema polmonare e la polmonite batterica, con emorragia delle mucose, naso, stomaco, intestino, sanguinamento dalle orecchie ed emorragie petecchiali nella pelle. Purtroppo l’organismo umano è troppo complesso e se ne vanno ogni giorno scoprendo gli arcani. Se si pensa alla medicina di Ippocrate e di Galeno, i cui testi si salvarono e occupano intere biblioteche, gli stregoni recenti pensavano di risolvere tutto con i salassi delle sanguisughe o al vuoto del bicchiere sul petto. Il medico della maschera della commedia settecentesca. E siamo sempre a quel punto del mistero e del disarmo. A brancolare in quelle tenebre della caverna.