Sono un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.

di CIRO LOMONTE ( con GAETANO DE BERNARDIS e BIANCA LUPO )

Il 23 marzo 2024 sono state traslate le spoglie di Giuseppe Tomasi di Lampedusa dal cimitero palermitano dei Cappuccini alla Basilica di San Domenico. Sono state collocate ai piedi di una maestosa colonna di Billiemi, di fronte alla solenne scultura di Emerico Amari, ai cui piedi si trova l’algida copertura della tomba di Giovanni Falcone. Osservando il parallelepipedo spigoloso e aniconico progettato appositamente per ospitarle, viene in mente la sagacia icastica di Antoni Gaudí, quando scriveva a proposito di Le Corbusier (quello più razionalista, tralasciando il Corbu espressionista): «Il modellino che ho visto di questo architetto è un insieme di parallelepipedi; sembra il marciapiede di una stazione dove hanno scaricato delle casse di imballaggio, alcune delle quali ricordano degli scaffali; quest’uomo ha la mentalità di un falegname».Obiettivo della traslazione? «Restituirlo all’umanità attraverso la sua presenza all’interno di questo Pantheon». Eterogenesi dei fini. La monumentale Basilica di San Domenico, nata per difendere e diffondere la Rivelazione alla luce del Magistero, è stata confiscata dal Regno d’Italia nel 1866 e – sotto la direzione del Fondo Edilizia per il Culto del Ministero degli Interni – svolge ancora oggi il compito di tempio neopagano per la difesa e la diffusione del proposito che si legge alla base dell’obelisco di piazza Indipendenza: «Non abbia l’Italia altri martiri se non quelli caduti nelle patrie guerre».

Viviamo tempi drammatici. Mentre i fedeli cattolici crescono in tre continenti del pianeta, anche grazie al sangue dei martiri che viene versato ogni giorno, in Europa e in America del Nord si assiste all’apostasia più o meno silenziosa di cristiani passati al servizio della religione laicista anticristiana. Chissà dove si trova adesso l’anima di Tomasi. Lui era un vero palermitano: perfezionista, sornione e dispettoso (qui diciamo “strurusu”), virtuoso della scrittura. Il suo romanzo è un distillato di provocazioni letterarie. Va preso come supporto all’evasione dal mondo reale, che in realtà non va bene né ai risorgimentali né ai revisionisti. Le brillanti trovate del libro sono diventate luoghi comuni per supportare una visione della Sicilia e dei siciliani, imbarazzante nella sua banalità. Eppure sembrano a tratti l’unica risposta – ironica – che un grande letterato siciliano potesse dare ad un potere coloniale pressoché inattaccabile. Tornano alla memoria i versi dedicati da Antonio d’Imera nel 1987 all’autore del Gattopardo. Un testo che cerca di cogliere la luminosità solare dei siciliani, riflesso del loro magnifico sole.

A Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Le acque placide dell’orizzonte,

come inesorabili forze magnetiche,

attraggono il sole

rosso e tondo

che si immerge lento, maestoso,

e dà fuoco al mare,

quel mare di sirene e di mostri e di creature

che troppo presto noi uomini abbiamo dimenticato.

I bagliori del tramonto

accecano,

ammaliano la mente,

ma Giuseppe guarda pensoso

e dice che

sta finendo l’estate,

la sua,

che arriva l’autunno della vita.

Nel disincanto di un animo siciliano

il tempo dell’uomo

diventa un ciclo di quattro stagioni

e il cuore ansioso

attende la terza,

quella dei frutti succosi della vigna,

quella delle foglie rosse

ma prive di linfa

dei platani.

No, Giuseppe,

tu confondi la tua fretta

di gonfiare i polmoni,

la tua gagliarda voglia di fare,

con la parvenza di morte

che ogni meta raggiunta ti offre,

più ancora se raggiunta più in fretta.

No, la vita è un’eterna primavera

e il tempo uno spettatore impotente

quando tu cammini sicuro

al passo che hai scelto.

Se tagli un paio di baffi

o li fai ricrescere,

perché ti va,

è primavera.

Se un tuo gesto incoraggia,

o spaventa,

o riscalda un ambiente,

perché ti va,

è primavera.

E quando un casco sottile

di bianchi capelli

t’incornicerà la fronte,

sarà appena l’inizio

di nuove avventure.

Perché

dove il sole è costretto

a tuffarsi nell’acqua e morire,

lì ogni uomo rinasce

e a bracciate vigorose

riprende a nuotare nel buio.

E l’alba

lo troverà addormentato

sulla spiaggia

della sua isola.

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CIRO LOMONTE

E’ architetto, esperto di arte sacra. E’ impegnato nel ricambio generazionale dell’artigianato di eccellenza. Redattore de Il Covile, autore di alcuni saggi sull’arte e sull’architettura. Nel 2016 si iscrive al neonato Movimento Siciliani Liberi. Nel 2018 ne viene eletto Segretario Nazionale. Nel 2022 si candida per la seconda volta sindaco di Palermo. “Coltivo relazioni di amicizia in tutto il mondo, convinto che la Sicilia abbia un destino privilegiato al servizio degli esseri umani.